GALLIPOLI, GIOIELLO DELLO JONIO

detta anche la Città bella, Gallipoli è la città dei marinai, pescatori e della movida, ma anche del mare trasparente, del pesce fresco, del porto (tra i più importanti del Mediterraneo) e dei frantoi.

STORIA
Fondata, secondo la tradizione, dallo spartano Leucippo, o dal cretese Idomeneo, la città di Gallipoli deriverebbe il suo nome dal greco kalé polis, città bella. Già centro messapico, scalo marittimo della città di Alezio, e poi municipio romano, la città subì nel corso della storia numerose distruzioni e ricostruzioni. La sua posizione infatti, unico centro importante sulla costa ionica e importante porto, ne faceva una meta ambita per chiunque volesse dominare il Salento.

IL BORGO E LA CITTÀ MODERNA
Alla città moderna, il Borgo, costruita alla fine del 1800, tramite un ponte seicentesco, si collega il borgo antico, collocato su un isolotto e racchiuso tra antiche mura su cui si staglia l’imponente Castello, ricostruito in età aragonese, dopo che i Veneziani avevano assegnato ed espugnato la città. L’impianto urbanistico, strutturato attraverso l’intreccio delle vie strette e tortuose, ricorda quello islamico; esso risale infatti al periodo della dominazione saracena, nel 900 d.C.
Sulla serra ad est della città dominano il paesaggio i resti dell’antico monastero di San Mauro, imponente testimonianza della dominazione normanna e dell’architettura romanica, che trova il suo corrispettivo, sulla costa adriatica nel monastero di San Nicola di Casole ad Otranto, anch’esso diroccato.
Nota per le sue tradizionali case a corte e per i lunghi balconi (meniani), la città manifesta il suo gusto rinascimentale e barocco nella cosiddetta Fontana Greca (tra le più antiche d’Italia, presenta bassorilievi di rilevante importanza, raffiguranti scene mitologiche) e nella preziosa Cattedrale dedicata alla martire catanese Sant’Agata.
Tra vicoli stretti e tortuosi non ci si può perdere a Gallipoli. E camminando alla scoperta di scorci e particolari si arriva sulle Riviere che circondano l’isola. Qui stupisce il numero altissimo delle piccole chiese confraternali che si alternano con gli edifici privati. Ogni confraternita, infatti, dagli scaricatori di porto, ai pescatori, aveva il suo punto di riferimento in una chiesa, e così, passeggiando per le riviere incontriamo la chiesa di S. Francesco d’Assisi, eretta, si dice, per desiderio di San Francesco che giunse in Salento di ritorno dalla Terra Santa, la Chiesa di Santa Maria della Purità, commissionata dalla ricca corporazione dei “bastagi” (scaricatori di porto), e ancora quella di San Francesco da Paola, del Carmine, del Crocifisso e di Santa Maria degli Angeli.

Sullo sfondo, a quasi un miglio dalla Terraferma, si intravede l’Isola di Sant’Andrea, illuminata la sera, dal faro qui collocato. Il faro fu costruito nel 1866 per indicare la terraferma ai pescatori durante la tempesta.

I MONUMENTI PIU’ IMPORTANTI

CHIESA DI SANTA MARIA DELLA PURITA’
Affacciata al Seno della Purità si erge la Chiesa di Santa Maria della Purità, la più antica di Gallipoli, della seconda metà del Seicento. Viene fondata da una delle confraternite più importanti e ricche della città, quella degli scaricatori di porto, in nome della mutualità religiosa e civile.
La facciata è sobria e semplice con al centro un trittico maiolicato che rappresenta al centro la Vergine col Bambino, con ai lati San Francesco d’Assisi e San Giuseppe Patriarca.
L’interno è ad unica navata coperta da volte a stella e con pavimento maiolicato. Lungo le pareti sono collocati gli stalli lignei del Settecento degli iscritti al sodalizio. L’altare maggiore è sormontato da una interessante pala con la Vergine della Purità e i Santi Giuseppe e Francesco d’Assisi, con formelle intorno alla vita di Maria.
All’interno sono custoditi dipinti di scuola napoletana del XVIII secolo, opera di Liborio Riccio da Muro. Nella volta troviamo la rappresentazione dell’Apocalisse. Sulle pareti Mosè che fa scaturire l’acqua, Giaele e Sisara a destra; Davide e Golia, Giuditta e Oloferne a sinistra.
La chiesa conserva anche una statua in cartapesta di Santa Cristina, opera del leccese Achille Lucrezi.
Nella sacrestia sono conservati la bara del Cristo Morto e la Madonna Desolata che vengono portati in processione il Sabato Santo all’alba.

CASTELLO ARAGONESE
Il castello di Gallipoli, sorto sui resti di una precedente fortificazione bizantina, è circondato quasi completamente dal mare, tanto che in passato, per accedervi, era necessario passare un ponte levatoio in legno. Si affaccia direttamente sul Seno del Canneto, a controllo dell’antico porto.
La struttura risale al XIII-XIV secolo, ma ha subito notevoli modifiche fino al XVII secolo. Il primo impianto doveva essere quadrangolare. In età aragonese venne ricostruito dopo che nel 1484 i Veneziani avevano assediato ed espugnato la città.
Gli aragonesi costruirono un recinto a pianta poligonale fortificato agli angoli da torri cilindriche. I lavori furono svolti su disegno dell’architetto senese Francesco di Giorgio Martini. Il castello assunse una forma quadrangolare rafforzata ai vertici da quattro torrioni, di cui uno poligonale, e, sull’asse est-ovest, dal Rivellino, aggiunto nel 1522, torrione che è staccato dalla cinta muraria e decisamente più basso e con base più larga delle altre. Nella seconda metà del XIX secolo fu riempito il fossato sul lato che guarda la città. L’interno ha grandi sale con volte a botte e a crociera, vari cunicoli e camminamenti. Nel 1543 , in età vice-reale spagnola, venne aggiunto il bastione poligonale a sud-est con all’interno la sala ennagonale.

FONTANA GRECA
Nei pressi del ponte che unisce la città vecchia con il borgo nuovo, vi è una delle fontane considerata più antica d’Italia, ma oggi universalmente collocata in età rinascimentale.
La fontana è composta da due facciate, una rivolta a Nord-Ovest e l’altra a Sud-Est. La struttura della fontana originaria era ad una sola facciata, contrariamente a quello che vediamo oggi. La seconda, quella che si affaccia a Tramontana, è stata aggiunta nel 1765 a totali spese del Comune di Gallipoli, qui celebrato tramite l’immagine dello stemma della città: un gallo con la corona e una epigrafe che recita “fideliter excubat”.
La facciata che dà verso Scirocco è quella più antica, di chiaro gusto ellenistico; presenta quattro cariatidi che dividono la facciata in tre settori e sostengono un architrave su cui si innalza un frontone decorativo, che raffigura Eracle che combatte contro l’Idra di Lerna. All’interno dei tre settori sono scolpite in bassorilievo tre scene raffiguranti episodi di metamorfosi legati a fonti d’acqua, tratti dalla mitologia greca. La prima scena raffigura la metamorfosi di Dirce, regina di Tebe, che vinta dalla gelosia oltraggia Antiope, sua nipote, e per questo viene condannata ad essere divorata dai tori. Dioniso la salva trasformandola in fonte. La troviamo raffigurata a terra tra due tori, mentre in alto Dioniso sovrasta la scena.
La seconda è la metamorfosi di Salamace, la ninfa che pregò gli dei di poter formare un solo corpo con Ermafrodito, di cui era innamorata. Vediamo rappresentati i corpi nudi, incatenati che si trasformano in fonte sotto lo sguardo di Venere e Cupido. L’ultima è la metamorfosi di Biblide che, innamorata del fratello Cauno e respinta, si dispera e gli dei per alleviare le sue sofferenze la trasformano in fonte. La ninfa, distesa a terra, stringe tra le braccia il mantello del fratello.
Nella parte sottostante la rappresentazione delle metamorfosi, invece, è collocato un abbeveratoio che in passato veniva utilizzato per dissetare gli animali dei viandanti che passavano davanti alla fontana.

CATTEDRALE DI SANT’AGATA
La Cattedrale, costruita su una precedente chiesa medievale dell’XI secolo, dedicata a San Giovanni Crisostomo, è oggi dedicata a Sant’Agata, martire catanese del III-IV secolo d.C., la cui devozione venne tramandata fino a noi dal bel lontano 1126. Si narra infatti che l’8 agosto del 1126 Sant’Agata apparve in sogno ad una donna avvertendola che il suo bambino stringeva qualcosa tra le labbra. Non riuscendo a far aprire al figlio la bocca, la donna si rivolse al vescovo che iniziò a pregare fino a che, pronunciato il nome della martire catanese, il bambino non dischiuse le labbra facendone uscire una delle mammelle della santa, simbolo del suo martirio.
Si racconta che la reliquia rimase a Gallipoli fino a che il principe Orsini del Balzo non la trasferì, nel 1389, nella Chiesa di Santa Caterina d’Alessandria dove ancora oggi è custodita. Nella Cattedrale sono custodite le reliquie di altri santi, tra le quali quelle di San Fausto.
La struttura risale al 1629, in piena età barocca, secondo i disegni di Giovanni Bernardino Genuino e con costruttori locali, il secondo ordine della facciata viene invece attribuito a Giuseppe Zimbalo.
La facciata principale, in carparo con decorazioni in pietra leccese, è suddivisa in cinque corpi tramite lesene di ordine dorico. Sul portale principale è collocata la statua di Sant’Agata, fiancheggiata dai protettori San Fausto e San Sebastiano. Al secondo ordine troviamo Santa Marina e Santa Teresa D’Avila. Nei riccioli delle volute dei raccordi Sant’Agostino e San Giovanni Crisostomo. Il frontone rettangolare reca la data di fine dei lavori, il 1696.
La chiesa è a croce latina a tre navate, con due file di colonne di ordine dorico realizzate in carparo. L’altare maggiore è realizzato con splendidi marmi policromi, mentre negli altari lungo le navate laterali è possibile osservare i numerosi dipinti di pittori gallipolini, soprattutto di Giovanni Andrea Coppola e Nicola Malinconico, dedicati alle S.S. Anime del Purgatorio, all’Assunta, al Martirio di Sant’Agata, a San Giorgio, all’Adorazione dei Magi e al Miracolo di San Francesco da Paola. Di notevole rilievo la raffigurazione della Vergine col Bambino tra i S.S. Andrea Apostolo e Giovanni Battista inquadrata in una cornice. Alcuni episodi rappresentati all’interno della chiesa, tra cui la Cacciata dei Mercanti dal Tempio, l’Entrata in Gerusalemme, il Sepolcro di Sant’Agata, la Santa che placa l’eruzione dell’Etna, Sant’Agata visitata in carcere da San Pietro, la Glorificazione della Santa, il Processo e la Condanna della Santa ad opera di Quinziano ed il Miracolo del paralitico, furono ultimati solo nel 1700 dal pittore napoletano Nicola Malinconico.

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